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04 Oct 17

Intervista a Silvio Albini, quinta generazione, oggi presidente del Cotonificio Albini, alla guida dell'azienda assieme ai fratelli Andrea e Stefano e al cugino Fabio.

Può descriverci l’identità, la storia e i valori che hanno guidato e guidano l’azienda?

Partiamo da chi siamo, cosa facciamo e da qualche numero. Albini Group è il maggior produttore europeo di tessuti per camiceria uomo-donna destinata alla fascia medio-alta del mercato globale. Esportiamo in 80 Paesi nel mondo ai più qualificati camiciai e alle migliori case di moda, per un fatturato nell'ultimo anno di 148 milioni di euro. Abbiamo 7 stabilimenti e 1380 dipendenti. Fondata nel 1876, oggi l'azienda è guidata dalla 5° generazione di eredi: io, i miei fratelli Andrea e Stefano, e nostro cugino Fabio. L'azienda è stata in grado di sopravvivere a 2 guerre mondiali, alla grande depressione, alla crisi del tessile e soprattutto alla comparsa sul mercato dell'abbigliamento prodotto nei Pesi in via di sviluppo, in particolare in Cina. Il che significa che la crescita, anche in tempi duri come quelli degli ultimi anni, è possibile. Tuttavia, è necessario garantire prodotti di altissima qualità, e questo è stato sin dalla fondazione l'elemento caratterizzante della nostra produzione. Abbiamo una vera vocazione manifatturiera e l'esperienza ci ha portato a raggiungere un livello di specializzazione elevatissimo. Vogliamo che la tradizione secolare, che abbiamo l'obbligo di rispettare e mantenere, viaggi insieme all'innovazione e alle trasformazioni necessarie in un mondo in costante evoluzione come il nostro, sia in termini di gusti e tendenze che in termini di progresso tecnologico. Altro valore fondamentale per noi, tramandatoci dai nostri predecessori, è il rispetto per il cliente.

Qual è la peculiarità dei vostri prodotti e quali sono le ragioni del loro successo?

Il primo elemento di successo è l'altissima qualità dei nostri prodotti, non scendiamo mai a compromessi per quanto riguarda le materie prime o la costruzione dei tessuti. Offriamo sempre prodotti contemporanei e moderni, cerchiamo di rinnovare costantemente anche i tessuti più classici - contrariamente a quanto si crede la camiceria non è un reparto immobile, ma è dominato da tante tendenze di moda e in continua evoluzione. Offriamo ai clienti importanti prodotti in esclusiva e customizzati su richiesta. Tra i servizi che offriamo c'è anche quello di campionatura. Proprio grazie alla costante innovazione, produciamo numerose tipologie di tessuto: contiamo più di 4.000 varianti ben segmentate, disponibili in magazzino anche per consegne molto veloci. E quando non sono disponibili dal pronto, per esempio nel caso di prodotti particolari o di ordini di una certa importanza, siamo in grado di garantire una quick response, altro fattore di successo in un mercato sempre più competitivo. Abbiamo la capacità di gestire grossi lotti in tempi brevissimi, ed una flessibilità fortemente apprezzata dai clienti. Abbiamo poi introdotto l'attività di i"ngredient branding", che differenzia i nostri tessuti da quelli dei competitori, tramite etichette, pendagli, eventi e vetrine con i clienti, in modo da valorizzare la componente tessuto, perché ricordo che non produciamo capi fatti, ma solo tessuti. Last but not least, conta molto la tracciabilità dei nostri prodotti, di cui controlliamo l'intero ciclo produttivo, il che ci permette di assicurarne la sostenibilità.

Quali sono le strategie di crescita, le sfide e la vostra vision per il futuro?

Vogliamo crescere nonostante il nostro sia un settore altamente competitivo, e per questo stiamo lavorando in varie arie. In primo luogo pensiamo di aumentare la nostra penetrazione con prodotti tipici esistenti in alcuni Paesi, con una particolare attenzione all'Estremo Oriente.

Un effort particolare lo stiamo dedicando a nuovi modelli di business, per esempio alla distribuzione online o multichannel, alle proposte su misura per i clienti o alla possibilità di andare a trovare questi ultimi direttamente nei loro uffici.

L'altra area di crescita importante in cui aspiriamo a diventare leader globale è quella del piccolo taglio destinato alle camicie su misura. Attualmente abbiamo due hub, uno in Italia che copre tutto il mondo escluso l'Estremo Oriente, e uno a Hong Kong in cui spediamo fino a mille tagli di camicie al giorno.

Stiamo facendo anche sforzi commerciali anche nel mondo della camiceria da donna, settore che sta andando bene e forse meno competitivo di quello maschile. Proprio nell'ambito della moda donna, stiamo esplorando nuove possibilità in termini di tessuti quali il lino, elegante, ecologico e leggero, seconda fibra naturale che impieghiamo dopo il cotone, o il denim a peso leggero, utile per la produzione non soltanto di camicie, e per cui miriamo a diventare leader globale. Dal 2012 abbiamo anche una divisione che produce filati, per un terzo destinati alla produzione del Cotonificio Albini, per due terzi al mercato. Stiamo approcciando così il settore della maglieria, che cresce più della camiceria, e che dunque potrebbe rappresentare una possibile area di sviluppo.

Infine, vi è la nostra interessante startup, non strettamente connessa al tessile, Albini Energia, una società autonoma che ci consente di produrre una piccola quantità di energie alternative per i nostri impianti, e con cui stiamo lavorando al progetto di nuovi impianti tessili nel mondo. Stiamo anche estendendo l'esperienza ad altre aziende italiane, tessili e non solo. Insomma, le prospettive di crescita vanno ben oltre il nostro core business originario.

Quanto è strategica per voi l’innovazione?

Il mercato è altamente competitivo, e se vogliamo differenziarci dai concorrenti l'innovazione costante è fondamentale, in primis quella legata alle tendenze stilistiche, e poi nei vari processi che avvengono a tutti gli stadi della filiera tessile, su cui abbiamo il controllo diretto, dalla ricerca di materie prime alle tecniche di tessitura. In particolare, c'è una crescente domanda di tessuti dalle performance innovative dagli Stati Uniti, per esempio di tessuti no-iron, o fibre dotate di elasticità naturale. L'innovazione dei processi produttivi si traduce anche in sostenibilità, la vera sfida per un'impresa manifatturiera come la nostra, capital-expensive e energy-expensive. Un processo, questo, graduale e che stiamo conducendo anche insieme ad alcuni clienti più sensibili.

Cosa vuol dire per voi oggi “internazionalizzazione del business”: export, delocalizzazione, partnership o tutto questo insieme?

Siamo sicuramente un'azienda internazionalizzata. Non solo esportiamo il 70% del fatturato in più di 80 Paesi al mondo, ma anche una quota significativa del restante 30% che vendiamo in Italia, viene esportata indirettamente. Abbiamo 3 stabilimenti all'estero di nostra proprietà, uno in Repubblica Ceca e due in Egitto. Questi ultimi ci hanno consentito di avvicinarci alla materia prima, essendo il Paese in cui si produce il cotone più bello al mondo. Abbiamo collaborazioni durature con fornitori in Europa e in Asia. Senza una presenza internazionale così alta sia a livello di produzione che di vendite o approvvigionamenti, non saremmo resistiti alla crisi del 2008/09.

Quali sono i mercati più importanti oggi e quali quelli a cui guardate con maggiore interesse nel medio lungo termine?

Il mercato più importante è senz'altro l'Italia, con la sua eccellenza nel mondo dell'abbigliamento. Tuttavia, cerchiamo di considerare l'Europa il nostro mercato domestico, e in quest'ottica c'è ancora tanta strada da fare. Tra i Paesi più improntanti in Europa, c'è la Francia con il suo mercato del lusso, e poi la Germania, la Scandinavia, l'Inghilterra. Cerchiamo di spingere molto negli Stati Uniti, dove negli ultimi anni abbiamo aperto degli uffici, e in Estremo Oriente, dove abbiamo un ufficio e un magazzino distributivo per i tagli su misura.

Qual è stato il momento, l’occasione o il progetto più importante per l’azienda e per il suo consolidamento?

Posso citarne due. Innanzi tutto il passaggio generazionale alla quinta generazione, avvenuto tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni 90, che è stato un processo, più che un momento, molto positivo. Abbiamo dimostrato di essere in grado di portare avanti l'azienda e che il tessile non era un settore destinato a morire ma aveva un grosso potenziale di crescita. L'altro evento che voglio ricordare è stata l'acquisizione nei primi anni 90' di tre brand inglesi, tra cui Thomas Mason. È stata un'acquisizione basata su elementi soft, ma molto importante perché l'ingresso nel mondo commerciale anglosassone ha significato per noi l'inizio dell'apertura al mondo e di un posizionamento più alto.

Cosa vuol dire per voi far parte del progetto Elite Growth?

Il nome del progetto dice molto: Elite, una spinta alla ricerca di eccellenza, e Growth, l'aspirazione alla crescita. Elite Growth ci ha offerto spunti per nuove prospettive di crescita, in termini quantitativi ma soprattutto qualitativi. In particolare, ci stiamo guardando intorno per trasformarci da azienda famigliare, nonostante le grandi dimensioni, a realtà strutturata con una cultura manageriale più aperta, dando vita a una “sfamiliarizzazione” dell'azienda. Abbiamo conosciuto nei vari incontri organizzati altre realtà aziendali interessanti, che ci hanno offerto nuovi stimoli culturali e spunti importanti. Io mi occupo personalmente della parte commerciale, di marketing e comunicazione, e ho trovato nei moduli dedicati a questi temi spunti molto stimolanti che ho poi approfondito.

Nell'ambito finanziario, stiamo valutando la possibilità di entrare nel club del finanziamento concesso ad alcune imprese Elite da parte dalla Banca europea degli investimenti tramite uno strumento assimilabile al mini-bond, consentendoci così di sganciarci dal puro credito bancario, cosa tipicamente italiana. Abbiamo conosciuto anche società di consulenza che offrono interessanti spunti per ottenere finanziamenti alternativi. Infine, grazie al coinvolgimento di Elite, abbiamo acquisito una maggiore visibilità, per cui siamo enormemente grati. Ma il segno più marcato che questa esperienza in Elite lascerà nella nostra azienda sarà senz'altro il rinnovamento della governance e dell'assetto direzionale del Gruppo, con una crescemte apertura a persone e capitali esterni. Un processo non ancora concluso ma che abbiamo già avviato.

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